Marinai di resilienza: come gli Enti del Terzo Settore imparano a costruire navi migliori nella tempesta
Chiara Leoni Iafelice
7/10/20252 min read


Nell’ecosistema del Terzo Settore, dove la missione sociale tesse la trama dell'agire delle organizzazioni, il concetto di resilienza organizzativa va oltre la capacità di assorbire gli urti. È come essere marinai esperti in un mare sempre più agitato: non basta resistere alle onde, bisogna imparare a navigare meglio e, a volte, a costruire navi più robuste. Questa resilienza si eleva a vera e propria manifestazione di maturità e solidità del sistema e di un adattamento evolutivo, diventando quindi un esempio concreto di come il sistema sappia evolversi e adattarsi.
Non si tratta, infatti, di una statica immunità ai problemi (un'utopia sempre dannosa, che ignora le dinamiche di ogni sistema umano complesso) bensì di una profonda e dinamica capacità di rinascere e riorganizzarsi con rinnovata forza dopo l'incontro inevitabile con l'alterità e la crisi. È nella capacità dell'organizzazione di dare un senso condiviso agli eventi inattesi, trasformando l'ambiguità in chiarezza e la minaccia in un'occasione di apprendimento, che risiede la sua forza più profonda. Quando la sicurezza di poter esprimere idee e preoccupazioni senza timore alimenta la libera circolazione del pensiero, anche il fallimento di un progetto o una sfida inattesa nel fundraising diventano dati preziosi per l'evoluzione. Proprio come nell'antica arte giapponese del Kintsugi, in cui le crepe di un vaso danneggiato vengono riparate con lacca d'oro, rendendo l'oggetto non solo nuovamente integro ma addirittura più prezioso e unico per le proprie cicatrici, così le vulnerabilità esposte da una crisi possono diventare le venature attraverso cui l'organizzazione apprende, si rafforza e riafferma la propria identità, consolidando il proprio ethos (cioè il suo carattere distintivo e i suoi valori fondamentali) e la propria efficacia nel perseguire il bene comune.
La vera arte della resilienza nel no profit si manifesta nella capacità di un'organizzazione di non limitarsi a reagire passivamente, ma di pro-agire con flessibilità strategica. Questo significa ridefinire rapidamente programmi e processi, reindirizzare le energie dei suoi membri e mettere in campo e valorizzare le risorse necessarie. Tutto ciò richiede una leadership diffusa, capace di ispirare, delegare e nutrire l'autonomia. È fondamentale riconoscere che la forza collettiva non risiede in una singola figura, ma nella sinergia delle intelligenze e delle motivazioni di tutti i partecipanti; e questo è essenziale proprio in un'organizzazione no profit che, a differenza di un'azienda, ha necessità del pieno coinvolgimento e affezione del maggior numero dei propri aderenti. L'adattabilità non è un mero adeguamento passivo, ma una trasformazione attiva delle mentalità e dei comportamenti, che permette all'ente di rimanere non solo rilevante, ma anche "pioniere" nell'affrontare le mutevoli esigenze sociali e nel perseguire con rinnovato vigore la propria missione.
Riprendendo infine le parole di Kahlil Gibran: "Dalla sofferenza sono emerse le anime più forti; i caratteri più massicci sono segnati da cicatrici.": nel Terzo Settore, questa massima trova piena conferma. Ogni sfida superata non è solo un ostacolo rimosso, ma un'opportunità per rafforzarsi. È un passo decisivo verso la costruzione di organizzazioni più robuste, più sagge e maggiormente capaci di generare un impatto duraturo nella vita delle persone e delle comunità. Proprio come i marinai che, superata una tempesta, non solo aggiustano la propria nave, ma imparano a costruirne di migliori per i viaggi futuri, così questa capacità di trasformare la crisi in forza rende l'organizzazione stessa la più autentica rappresentazione del processo che la comunità attraversa, ma in modo più evoluto e sistematico.
La resilienza è, in fondo, l'arte di trasformare le difficoltà in forza per il bene comune.