Potenziare il Terzo Settore: le soft skills come motore di trasformazione sociale
Chiara Leoni Iafelice
7/24/20255 min read


Nel vasto e dinamico panorama del Terzo Settore, le organizzazioni che ne fanno parte — dalle associazioni di volontariato alle fondazioni, dalle cooperative sociali agli enti filantropici — rappresentano un pilastro fondamentale per la coesione e il benessere delle comunità. La loro efficacia è misurata in termini di impatto concreto: il numero di pasti distribuiti, le aree riqualificate, le persone assistite o i progetti sociali avviati. Tuttavia, al di là delle metriche quantitative e delle competenze tecniche necessarie per svolgere le attività, un elemento cruciale e spesso sottovalutato determina la profondità e la sostenibilità di tale impatto: le soft skills. Queste competenze trasversali, meno facilmente quantificabili ma profondamente legate alla dimensione umana dell'interazione, sono il vero motore che può elevare un'azione “benefica” a un intervento socialmente significativo e duraturo.
Un ente di Terzo Settore è, per sua natura, un sistema complesso di relazioni interpersonali. Spesso, l'attenzione prioritaria nell'acquisizione di nuove risorse umane è rivolta alle hard skills, cercando di integrare professionisti con competenze tecniche specifiche: medici, infermieri, operatori socio-sanitari, assistenti sociali, psicologi, avvocati, ma anche idraulici, elettricisti o ingegneri. Questa ricerca di professionalità mirate è del tutto comprensibile e sicuramente necessaria per garantire l'operatività e l'efficienza dei servizi offerti. Tuttavia, per un impatto che vada oltre la mera funzionalità, diviene altrettanto strategico e lungimirante iniziare a selezionare e valorizzare le persone non solo per ciò che sanno fare, ma anche per come interagiscono e si relazionano. Ogni giorno, operatori, volontari, beneficiari, coordinatori, partner istituzionali e stakeholder esterni interagiscono infatti in una rete dinamica. In questo contesto, la sola esecuzione di compiti specifici non è sufficiente a garantire un impatto ottimale; è piuttosto la qualità di queste interazioni, mediata proprio dalle soft skills, a definire l'efficacia complessiva dell'ente e la sua capacità di generare valore sociale. Si pensi, ad esempio, all'incontro con un beneficiario in una situazione di estrema vulnerabilità: la semplice erogazione di un servizio o di un bene materiale, seppur fondamentale, rischia di essere insufficiente. Diventa fondamentale allora la capacità dell'operatore o del volontario di mostrare empatia, ovvero di comprendere e rispecchiare, senza giudizio, lo stato emotivo dell'altro. Una comunicazione non verbale accogliente e un ascolto attivo profondo sono in grado di ristabilire un senso di fiducia e dignità, elementi imprescindibili per un vero processo di inclusione e supporto psicosociale. Queste non sono abilità tecniche, bensì competenze relazionali che costituiscono il fondamento di un intervento umanamente sostenibile. Analogamente, all'interno dello stesso ente, la gestione di dinamiche tra colleghi, tra staff e volontari o tra diversi settori richiede un “set” di soft skills specifico. Di fronte a un disaccordo o a un imprevisto, la capacità di mettere in atto il problem solving collaborativo e la gestione dei conflitti permette di trasformare una potenziale frizione interna in un'opportunità di crescita e rafforzamento del team, mantenendo l'attenzione sulla missione comune. La fluidità e l'efficacia operativa di un ente sono direttamente proporzionali alla competenza con cui le soft skills vengono coltivate e impiegate al suo interno.
Esistono soft skills che, se riconosciute e potenziate a livello organizzativo, agiscono come vere e proprie leve strategiche per amplificare l'impatto sociale di un ente del Terzo Settore. Studi condotti da istituzioni prestigiose, come il Stanford Research Institute e la Carnegie Mellon Foundation, hanno evidenziato come le soft skills contribuiscano fino al 75% del successo professionale a lungo termine, superando l'apporto delle competenze tecniche. Senza una solida padronanza di queste competenze, infatti, anche le migliori intenzioni e le più elevate hard skills rischiano di tradursi in incomprensioni, inefficienze e una minore capacità di risposta ai bisogni complessi della comunità. La comunicazione efficace, per esempio, non si limita a istruzioni chiare o report precisi; essa implica la capacità dell'ente di promuovere un ascolto profondo a tutti i livelli, di adattare il linguaggio ai diversi interlocutori (beneficiari, operatori, volontari, donatori, istituzioni) e di prevenire malintesi che possono rallentare o compromettere l'operato. Una cultura comunicativa forte apporta una maggiore trasparenza ed efficienza. Allo stesso modo, l'empatia e l'intelligenza emotiva a livello di ente significano creare un ambiente in cui il personale e i volontari siano supportati nel gestire le proprie emozioni di fronte a situazioni complesse e dove si riconosca il valore del supporto emotivo ai beneficiari. Promuovere queste competenze contribuisce a prevenire il burnout tra gli operatori e a garantire interventi più sensibili e appropriati. Daniel Goleman, pioniere dell'intelligenza emotiva, ci ricorda che "non importa quanto tu sia brillante, se non sai gestire le tue emozioni e relazionarti efficacemente, il tuo potenziale sarà limitato." Questo principio risuona in modo pregnante nel Terzo Settore, dove il cuore dell'azione risiede proprio nell'interazione umana. La capacità di problem solving e la flessibilità sono vitali in un contesto come quello del Terzo Settore, dove l'imprevisto è la norma. Un ente che incoraggia l'agilità mentale, la ricerca di soluzioni creative con risorse limitate e l'adattamento rapido ai cambiamenti, sarà più resiliente e capace di rispondere efficacemente alle emergenze e alle nuove sfide sociali. Il lavoro di squadra e la collaborazione rappresentano il fondamento dell'efficacia operativa. Un ente che investe nella costruzione di team coesi, promuove la delega efficace e facilita la risoluzione costruttiva dei conflitti interni, massimizza il potenziale collettivo, rendendo il "noi" più forte della somma delle singole parti. Infine, la resilienza e la gestione dello stress sono essenziali per la sostenibilità a lungo termine dell'ente stesso. Creare meccanismi di supporto psicologico, promuovere la cura del benessere del personale e dei volontari, e sviluppare la capacità di riprendersi dalle difficoltà, sono strategie specifiche per mantenere alta la motivazione e la continuità del servizio.
Per un ente di Terzo Settore, lo sviluppo delle soft skills non deve essere un evento isolato, ma un processo continuo di crescita e apprendimento. Non si tratta di competenze innate, ma di abilità che possono e devono essere coltivate attivamente. Per intraprendere questo percorso, è essenziale partire da una vera e propria "radiografia" dell'organizzazione: capire quali soft skills siano già punti di forza che arricchiscono i team e dove, invece, sia prioritario intervenire per rafforzare ogni figura professionale. È utile promuovere una cultura del feedback costruttivo, dove personale e volontari si sentano liberi di condividere osservazioni e suggerimenti sulle dinamiche relazionali. Inoltre, investire in formazione specifica è fondamentale. Molti enti offrono già percorsi su temi come la comunicazione non violenta, la leadership partecipativa o la gestione dello stress. Ampliare queste opportunità e renderle accessibili a tutti i livelli dell'organizzazione può significare un notevole incremento di efficacia. Ogni interazione, ogni piccola sfida quotidiana nel contesto delle attività dell'ente, è infine un'opportunità concreta per mettere in pratica e affinare queste preziose soft skills, trasformando l'esperienza sul campo in quello che potremmo definire un "laboratorio" di apprendimento continuo. In sintesi, per gli enti del Terzo Settore, riconoscere e potenziare le soft skills significa non solo migliorare l'efficacia dei singoli interventi, ma anche costruire una struttura più forte, coesa e capace di adattarsi alle sfide sociali. L'investimento in queste competenze apporta un valore inestimabile, elevando il potenziale dell'ente e moltiplicando il suo impatto a beneficio dell'intera collettività.
A questo punto una domanda è d'obbligo a coloro che si occupano di organizzazioni no profit: quali passi sta intraprendendo il vostro ente per integrare le soft skills nella sua strategia operativa e di sviluppo, anche nella fase di reclutamento?